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Conseguenze psicologiche del mal di testa: osteopatia e psicologia si incontrano

di Annalisa Sensi

Questo articolo divulgativo nasce come report di un incontro dal titolo “Non riesco a toglierti dalla mia testa. A tu per tu con la cefalea”, svolto in collaborazione dalle dottoresse Valentina Montaldo Osteopata e Annalisa Sensi Psicologa. L’obiettivo di questo intervento è stato di sensibilizzare sulle conseguenze psicologiche collegate al mal di testa e fornire alcune indicazioni su come intervenire nella gestione delle difficoltà psico emotive correlate. 

Di seguito l’articolo che spiega nel dettaglio quanto affrontato sul tema. 

Buona lettura. 

Introduzione 

Tra le patologie del sistema nervoso, le cefalee sono quelle più comuni e costituiscono la terza malattia più diffusa al mondo, con circa il 12% dell’incidenza (ISS, 2018). Le cefalee si suddividono in primarie e secondarie: tra quelle primarie troviamo quelle “emicraniche”, quelle “muscolo-tensive” e quelle dette “a grappolo”: Tra queste, l’emicrania si configura come quella più frequente e complessa. Invece, le cefalee secondarie possono essere correlate a danni neurologici oppure essere conseguenti a un’altra condizione medica. Rimane indiscusso il fatto che l’emicrania e la cefalea tensiva sono tipi di mal di testa più prevalenti, entrambi potenzialmente disabilitanti e con il maggiore impatto sulla salute pubblica. L’emicrania è il disturbo cefalalgico più studiato in assoluto e il meglio compreso: è caratterizzata da un dolore che si colloca solitamente su un lato della testa e che può essere associato a nausea, vomito e a un’aumentata sensibilità a luce e suoni. Si stima che la sua incidenza in Italia sia intorno all’11,6 % e che sia 3 volte più frequente nelle donne che negli uomini: infatti, viene definita una “malattia di genere” (CENSI, 2019a). 

Le conseguenze psicologiche della cefalea

Secondo alcuni autori, emicrania e cefalea sono malattie sottostimate sia dal senso comune sia dalla sanità pubblica. Mostrano però delle caratteristiche che le rendono invalidanti: sono di fatto associate a un peggioramento globale della qualità della vita e a un rischio doppio di depressione (Amiri, Behnezhad & Azad, 2019). Inoltre, queste hanno un effetto negativo sulla prestazione lavorativa: in uno studio si è visto che il 43% degli impiegati con emicrania e il 12 % con cefalea da tensione stavano assenti più dei dipendenti senza emicrania, proprio a causa dei ricorrenti e intensi mal di testa (Molarius & Tellberg, 2006).

Secondo il CENSIS (2019b), l’emicrania ha un decisivo impatto sul benessere della persona, non solo dal punto di vista fisico, ma anche psicologico. Si è osservato che il 90% delle persone che non ne hanno mai fatto esperienza la sottovalutano, mentre invece, il 66% degli individui cefalici non si sente capito e, anzi, considerato come “esagerato” quando occorre un forte attacco di mal di testa. Non da meno, chi soffre di emicrania si sente mal visto e giudicato socialmente per il proprio mal di testa. Infine, il 40% dei soggetti con mal di testa riferisce di sentirsi un peso per i familiari e il 31%, invece, di sentirsi percepito come poco affidabili sul lavoro (CENSIS, 2019c). 

Vincolo o risorsa? L’ambiente di vita della persona con il mal di testa

Alcuni studi mostrano come l’ambiente di vita della persona con il mal di testa possa essere un vincolo oppure una risorsa nel tamponamento e/o nella diminuzione dell’intensità della malattia, partendo dall’ambiente familiare, fino ad arrivare al contesto sociale e lavorativo. La prima tra le conseguenze del mal di testa, e in particolar modo l’emicrania, è il sentirsi bersaglio di stereotipi ed etichettamenti giudicanti come “piagnucolone, isterico, ipocondriaco, pigro, nevrotico, incapace di gestire lo stress” e altre ancora.

Ma che cosa rende l’emicrania così vulnerabile allo stigma? Per primo, il fatto che sia “invisibile”, quindi non può essere misurata o confermata da un test, cosa fa sì che queste persone possano essere considerate come meno affidabili e credibili. Inoltre, come l’asma è una “malattia dello spettro”, quindi, può colpire ciascun individuo con modalità, intensità e gravità differenti. Infine, ha un impatto notevole sulla produttività e sul benessere lavorativo (Parikh, Kempner & Young, 2021). 

Uno studio recente ha indagato le impressioni delle persone senza emicrania verso quelle con emicrania nel contesto lavorativo ed è emerso che il 31% delle persone “non emicraniche” crede che le persone usino l’emicrania come strategia di fuga dalle responsabilità del lavoro o della scuola. Inoltre, il 45% crede che sia facilmente trattabile con i farmaci e il 36% che sia il risultato delle loro abitudini e comportamenti malsani. (Shapiro, Arajo, Nicholson, Reed, Buse, Ashina et al., 2019).

Le persone che vengono discriminate a causa del proprio mal di testa, specialmente quando emicranico, riferiscono di sentirsi fuori controllo rispetto alla propria condizione, elemento che contribuisce ad aggravare in maniera significativa lo stress psicologico (Nichols, Ellard, Griffiths, Kamal, Underwood, Taylor et al., 2017). Infatti, si è visto che la discriminazione percepita può peggiorare direttamente il dolore cronico e arrecare un peggioramento complessivo della salute. Infine, altri studi hanno approfondito l’influenza del contesto familiare sull’intensità del sintomo cefalico e hanno ipotizzato che un buon funzionamento familiare potesse stemperare il dolore cronico dovuto al mal di testa e diminuire i livelli di angoscia (Mohammadi, Zandieh, Dehghani, Assarzadegan, Sanderman & Hagedoorn, 2017), molto presente nei pazienti cefalici (Falavigna, Teles, Braga, Conzatti, Ruschel & Silva, 2013). Pertanto, la famiglia svolgerebbe un ruolo importante nell’aiutare il paziente ad affrontare il dolore e diminuire l’intensità del sintomo. 

Di che cosa si occupa la psicosomatica?

La disciplina psicologica che più di tutte si è avvicinata allo studio del corpo e della sua correlazione con la mente è la psicosomatica. Sebbene in ambito psicologico non tutti sono concordi nella sua definizione, generalmente viene definita come quella inseparabile e costante interazione tra la “psiche” e il “soma” (APA; 1980). Se questa correlazione non vi fosse, scriveva Cartesio, “quando il corpo è ferito non ne sentirei dolore, ma percepirei tale ferita con il puro intelletto” (Baldoni, 2020). 

Secondo il modello di Morin (1993), le patologie psicosomatiche dovrebbero essere studiate secondo un’ottica più complessa, che coinvolge sia fattori psicofisici, sia le componenti sociali e contestuali, perché possono contribuire nella genesi del problema. Pertanto, nella genesi della malattia ci sono fattori psicosociali che possono stimolare un fattore medico e fisico, in un individuo che presenta già una vulnerabilità individuale per quel determinato disturbo (Gritti, 2019).

Uno dei primi studiosi che ha approfondito la patologia psicosomatica e la sua correlazione con il contesto familiare e sociale fu Salvador Minuchin; presso l’Ospedale Pediatrico di Philadelphia Child Guidance Clinic, ha approfondito la relazione tra malattia e contesto familiare. Negli studi sui bambini diabetici, poté osservare che le modalità relazionali che intercorrono nella famiglia avevano una certa influenza sul bambino, il quale, quando si sentiva sottoposto a stress, presentava un aumento degli acidi grassi liberi, che inclinavano la chetoacidosi diabetica. Conseguentemente, lo stress emotivo vissuto a causa dei frequenti litigi familiari faceva sì che avvenisse un rilascio di zuccheri nel sangue. Inoltre, lo studio individuò tre caratteristiche che accomunavano questi bambini: un certo tipo di organizzazione familiare che incoraggia la somatizzazione, il coinvolgimento emotivo del bambino nei conflitti e la sua vulnerabilità fisiologica (Minuchin, Baker, Rosman, Liebman, Milman & Todd, 1975). Quindi, alla luce di questa teoria, per comprendere la malattia psicosomatica è importante considerare più di un nesso causale nella sua origine e leggerla come un’interazione fra variabili sia di natura fisica, che psicosociale, mutuamente interagenti.

Ma “che cosa” si somatizza attraverso il mal di testa?

Nel corso del tempo, alcuni autori hanno provato a rispondere a questa domanda e cercato di capire che cosa potesse significare un attacco di mal di testa per queste persone. Alcuni lo hanno descritto come un “blackout”, che permette di inibire il pensiero e il ragionamento, difendendo l’individuo da pensieri disturbanti, invadenti o perturbanti. In questo caso, l’emicrania difenderebbe da paure e preoccupazioni difficilmente affrontabili da un punto di vista emotivo (Marty, 1951). Invece, altri studiosi l’hanno descritta come un forte meccanismo di controllo legato a perfezionismo e orientamento al dettaglio (Kempner, 2014); mentre invece, altri ancora l’hanno collegata a una forte tensione correlata a una difficoltà di rilassamento (Hendler, 1981). 

In generale, la presenza di cefalea è stata riscontrata in individui con frequente rimuginio e una tendenza a trattenere dentro sentimenti difficilmente esprimibili e ad “ingoiare bocconi amari”. In questo senso, sul piano inconsapevole, il corpo si sostituirebbe alla parola, poiché la comunicazione verbale veicolerebbe un messaggio considerato “come potenzialmente pericoloso” sia per il proprio equilibrio psicologico, sia per il contesto di vita circostante. Infine, altri autori ipotizzano che si tratti di contesti familiari in cui vi è una contrapposizione tra “ragione ed emozione”, un utilizzo di strategie di risoluzione logico-razionali oppure la presenza di difficoltà ad esprimersi sul piano emotivo (Fromm-Reichmann, 1937). 

L’intervento psicologico sul dolore legato al mal di testa

In conclusione, è importante che sul piano sanitario aumentino sì i servizi rivolti alla cura delle cefalee, ma anche la sensibilizzazione sul problema, per permettere di conoscerne la portata psico emotiva, sia per chi ne soffre, sia per chi vi è in contatto, in famiglia oppure al lavoro. La cefalea è una malattia invalidante ed è importante che avvenga una presa in carico ad ampio raggio, che consideri non solo un trattamento corporeo ma anche quello psicologico. L’intervento psicologico non è direttamente indirizzato alla risoluzione del sintomo fisico, dal momento che – come osservato precedentemente – ha una origine “biopsicosociale”, ovvero legata a corpo, mente e contesto sociale. 

Tuttavia, il colloquio psicologico è uno spazio di analisi e comprensione dei fattori contestuali che possono agevolare la gestione del dolore. La “malattia diventa un biglietto di sola andata per la trasformazione” (Gritti, 2019): avverte che è arrivato il momento di creare cambiamento nel sistema, si mostra come vincolo, a causa dell’intensità della sofferenza, ma è allo stesso tempo risorsa, perché promotore di trasformazioni.

Bibliografia

Amiri S., Benhezhad S. & Azad E. (2019). Migrain and depression in adults: a systematic review and meta-analysis. Neuropsychiatry: 33, 131-140. 

Baldoni F. (2010). La prospettiva psicosomatica. Dalla teoria alla clinica. Il mulino editore, Bologna.

CENSIS (2019a). Vivere con l’emicrania. Dalla sottovalutazione al condizionamento esistenziale. Link: https://www.censis.it/sites/default/files/downloads/Sintesi_2019.pdf 

CENSIS (2019 b). L’impatto psicologico dell’emicrania. Link: https://www.censis.it/welfare-e-salute/vivere-con-l%E2%80%99emicrania/l%E2%80%99impatto-psicologico-della-emicrania 

CENSIS (2019c). L’impatto dell’emicrania sul lavoro e sullo studio. Link: https://www.censis.it/welfare-e-salute/vivere-con-l%E2%80%99emicrania/l%E2%80%99impatto-della-emicrania-sul-lavoro-e-sullo-studio 

Falavigna, A., Teles, A. R., Braga, G. L., Conzatti, L. P., Ruschel, L. G., & Silva, P. G. d. (2013). Association between primary headaches and depression in young adults in southern Brazil. Revista. da Associacao Medica Brasileira, 59, 589–593. DOI: 10.1016/j.ramb.2013.06.014.

Fromm-Reichmann, F. (1937). Contribution to the psychogenesis of migraine. Psychoanalytic Review, 24, 26–33.

Gritti P. (2017). The bio-psycho-social model forty years later: a critical review. Journal of Psychosocial Systems. Vol. 1(1), pp. 36-41. 

Gritti P. (2019). Il paradigma psicosomatico: una prospettiva relazionale. Psichiatria, Psicoterapia, Editor: Journal of Psychosocial Systems. Riflessioni Sistemiche N.1: 124-136. 

Kempner J. (2014). Not tonight. Migraine and the politics of gender and health. Chicago: The University of Chicago Press. 

Istituto Superiore di Sanità (ISS, 2018). Emicrania. Una malattia di genere. Impatto socioeconomico in Italia. PDF: https://www.iss.it/documents/20126/0/Emicrania-una-patologia-di-genere.pdf/d5c39e7f-bf71-1d3a-91ef-6d71efc87a6e?t=1576061517293

Marty P. (1951). Les cephalalages. Enc. Med. Chir: 10. 

Minuchin S., Baker L., Rosman B., Liebman R., Milman L. & Todd T.C. (1975). A conceptual model of psychosomatic illness in children. Arch Gen Psychiatry 32: 1031-1038. 

Minuchin S., Rosman B.L. & Baker L. (1978). Psychosomatic Families: Anorexia Nervosa in Context. Cambridge, MA: Harvard University Press. 

Mohammadi S., Zandieh S., Dehghani M., Assarzadegan F., Sanderman R. & Hagedoorn (2017). The buffering effect of family functioning on the psychological consequences of headache. Psychology, Health & Medicine; (22) 237-243.  

Molarius A. & Tellberg A. (2006). Recurrent headache and migraine as a public health problem – a population-based study in Sweden. Headache; 46 (1): 73-81.  

Morin E. (1993). Introduzione al pensiero complesso. Gli strumenti per affrontare la sfida della complessità. Sperling & Kupfer. Scienza, ed. 2. 

Nichols VP, Ellard DR, Griffiths FE, Kamal A, Underwood M, Taylor SJC et al. (2017). The lived experience of chronic headache: a systematic review and synthesis of qualitative literature. BMJ Open: 7(12): e019929. 

Parikh S.K., Kempner J. & Young W.B. (2021). Stigma and Migraine: developing effective interventions. Psychological and Behavioural Aspects of Headache and pain (D Buse, Section Editor).  

Shapiro R.E., Arajo A.B., Nicholson R.A., reed M.L., Buse D.C., Ashina S. et al. (2019). Stigmatizing attitudes about migraine by people without migraine: results of the OVERCOME study. Headache: The Journal of Head and Face Pain. 

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Annalisa Sensi

Psicologa Clinica, presso l'Ordine degli Psicologi del Piemonte, Esperta in Fisiologia e Psicologia Perinatale, presso l'Associazione Scientifica Calmarmi di Psicologia Perinatale di Milano, Docente a Contratto presso l'Università degli Studi di Torino.

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